Vigevano come campo di battaglia

  • Categoria: Storytelling
  • Pubblicato: Martedì, 15 Settembre 2020 14:27
  • 15 Set

VIGEVANO COME CAMPO DI BATTAGLIA

Chi visita questa città può immergersi anche nella parte cruenta segnata dai diversi conflitti che ci sono stati, toccando con mano i segni indelebili lasciati dai personaggi del passato influenzati anche dalla presenza della famiglia Sforza che aveva la propria residenza estiva proprio a Vigevano. Passeggiando per Vigevano si può assistere ai segni lasciati dai conflitti incontrando il castello Sforzesco, l'Ecomuseo della Roggia Mora dove sono conservate le ricostruzioni delle macchine da guerra realizzate da Leonardo Da Vinci e la valle del Ticino, teatro della battaglia tra Annibale e Scipione l'Africano. Vigevano offre così la possibilità di una chiave di lettura storica attraverso uno scorcio che non sempre si trova e che quindi ha un carattere di originalità che rende la storia di questa città unica.

PUGNA AD TICINUM

INTRODUZIONE:

La battaglia del Ticino rappresentò, nella seconda guerra punica, il primo scontro diretto e la prima vittoria di Annibale contro Roma. In precedenza, dopo aver valicato le Alpi, il generale cartaginese aveva ripetutamente sconfitto i Taurini che rifiutavano di affiancare le forze cartaginesi.

CONTESTO STORICO:

Dopo la presa di Sagunto da parte dei Cartaginesi di Annibale la guerra fu inevitabile, solo che come scrive Polibio, la guerra non si svolse in Iberia ma proprio alle porte di Roma e lungo tutta l'Italia. Era la fine del 219 a.C. e iniziava la seconda guerra punica. Nel maggio del 218 a.C. Annibale lasciò la penisola iberica, con 90.000 fanti e 12.000 cavalieri, oltre a 37 elefanti. Il condottiero cartaginese doveva muoversi in fretta se voleva sorprendere le forze di Roma ed evitare l'attacco diretto a Cartagine; Annibale intendeva combattere la guerra sul territorio nemico e sperava di suscitare con la sua presenza in Italia alla testa di un grande esercito e con una serie di vittorie una rivolta generale dei popoli italici recentemente sottomessi al domino della Repubblica romana. Intanto i Romani assegnarono a Publio Cornelio Scipione, padre dell'Africano, e al fratello Gneo Cornelio Scipione la Spagna. Il piano prevedeva di attaccare Annibale in Spagna cercando l'aiuto delle popolazioni locali. Contemporaneamente si dedicarono alla fortificazione delle città della Gallia Cisalpina. La prima delle colonie venne fondata sul fiume Po, l'altra venne posta a nord del fiume(Cremona). La loro funzione era quella di sorvegliare il comportamento delle popolazioni celtiche di Boii e Insubri, che infatti, una volta venute a conoscenza dell'avanzata cartaginese in Gallia Transalpina, si ribellarono al dominio romano. Nel frattempo la diplomazia di Annibale nella Gallia Cisalpina spinse i Galli Boi e Insubri alla rivolta. Questi scacciarono i coloni da Piacenza e li spinsero fino a Modena che venne assediata ma non occupata. Questa situazione obbligò Publio Scipione a dirottare verso la Pianura Padana le sue forze che si trovavano a Pisa in attesa dell'imbarco verso la Gallia. Costretto a tornare a Roma per arruolare una settima legione, finalmente riuscì a raggiungere Massalia (Marsiglia) per fronteggiare Annibale, ma era passato troppo tempo. Annibale per giungere in Italia si rese conto di non poter passare per la strada costiera e si inoltrò fra le montagne. In ogni caso, l'inizio dell'attraversamento delle Alpi avvenne verso la fine di settembre del 218 a.C.. Annibale riuscì a giungere in Italia dopo una ventina di giorni di aspri combattimenti con le popolazioni montanare che dettero filo da torcere alle pur agguerrite truppe cartaginesi. Nel frattempo Publio Scipione, inviato il fratello Gneo in Spagna con la flotta e parte delle truppe, era ritornato in Italia, sbarcando a Pisa, ed attestandosi a Piacenza. Tiberio Sempronio Longo, richiamato dal Senato romano, dovette rinunciare al progetto di sbarco in Africa. Il piano di Annibale era riuscito; la sua audace e inattesa offensiva terrestre costrinse Roma ad abbandonare precipitosamente i suoi piani di attacco diretto a Cartagine che quindi per il momento non dovette temere minacce da parte del nemico.

LOCALITA' DELLO SCONTRO:

Non siamo in grado di identificare la località esatta presso cui si svolse la battaglia, forse nei pressi dell'odierna Vigevano o forse verso Castelletto Ticino, sappiamo solo che avvenne nel tardo autunno del 218 a.C. e si presentò come un breve scontro tra le avanguardie dell'esercito punico e dell’esercito romano, che complessivamente contavano 32.000 fanti e 3.000 cavalieri. Tito Livio racconta che i Romani, dopo aver costruito il ponte sul Ticino, si accamparono a 5000 passi (7,5 km) da Victumuli, dove era già accampato Annibale. Secondo alcuni l'esercito romano si accampò a Turbigo e quello cartaginese oltre Galliate sull'odierna riva piemontese.

ASSEDIO DI VIGEVANO

INTRODUZIONE:

L'assedio di Vigevano si svolse nel giugno del 1449. Le truppe al comando di Francesco Sforza assediarono il castello della città riuscendo a catturarlo dopo una valorosa difesa da parte della guarnigione e del popolo vigevanese.

STORIA:

- ANTEFATTI:

Il 22 aprile 1449 i soldati sforzeschi e veneziani al comando del Colleoni avevano sconfitto l'esercito piemontese al comando di Giacomo di Challant nella battaglia di Borgomanero cui aveva fatto seguito la resa dei castelli del novarese catturati da questi ultimi. Il 1 maggio lo Sforza riusciva a catturare il Castello di Melegnano posto a difesa del ponte sul Lambro. La città di Vigevano, principale centro della Lomellina (restava tuttavia fedele all’Aurea Repubblica Ambrosiana) aveva espulso le famiglie ghibelline e la sua guarnigione era stata recentemente rinforzata da un migliaio di disertori sforzeschi. I difensori della città in aprile avevano effettuato continue scorrerie a danno delle cittadine della Lomellina in mano agli sforzeschi e avevano assaltato il castello di Gambolò per poi darlo alle fiamme. Appresi questi avvenimenti Francesco Sforza, che stava assediando Milano puntando a prenderla per fame, radunò l'esercito e mosse dai suoi quartieri presso Melegnano con l'intento di catturare Vigevano. Ordinò a Marco Leone, di realizzare un ponte di barche nei pressi della città ma a causa dell'esondazione del Ticino causate dalle continue piogge ciò non fu possibile, si decise quindi di realizzarne uno tra Bereguardo e Parasacco, dove il fiume era più stretto. Durante i lavori Francesco Sforza ordinò a Roberto Sanseverino, Andrea da Birago e al fratello Marcello di far arrestare Guglielmo VIII del Monferrato che nei mesi precedenti aveva adottato un comportamento ambiguo, raccomandando però di trattarlo con ogni riguardo.

- ASSEDIO:

Lo Sforza circondò Vigevano piazzando le bombarde in direzione del castello e costruendo bastìe di cinque piani poi inviò messi al Colleoni ordinandogli di convergere verso la città con parte delle sue truppe mentre Alberto da Carpi avrebbe continuato a presidiare le fortezze sul Sesia per difendersi da eventuali attacchi piemontesi. Le bombarde sforzesche riuscirono ad atterrare una delle torri del castello che crollò nel fossato riempiendolo in parte ma i difensori riuscirono rapidamente a fortificare la porzione crollata. Gli sforzeschi diressero il fuoco contro i nuovi ripari ma i difensori ancora una volta riuscirono a porvi rimedio. Non avendo tempo per un lungo assedio, lo Sforza preparò l'esercito all'assalto. Fece realizzare una lunga strada coperta in legno che si spingeva sino al fossato del castello, poi divise i soldati in nove squadre, ciascuna guidata da un comandante, con l'intenzione di lanciare un susseguirsi di assalti che avrebbe dovuto sfiancare i difensori. L'onore di entrare per primo spettò a Donato da Milano che insieme alla sua squadra riuscì ad aprire un varco nelle difese nemiche. Avvedutosi dell'impresa, lo Sforza ordinò di assaltare simultaneamente il castello in più punti in modo che solo una parte dei difensori potesse accorrere alla breccia. I cittadini vigevanesi si occuparono della difesa delle mura mentre i soldati scelti cercarono di impedire agli sforzeschi di entrare nel castello presso la torre crollata. I primi sette assalti fallirono tanto che lo Sforza fu costretto ad ordinare agli attaccanti di ritirarsi temporaneamente. Dopo aver nuovamente martellato le fortificazioni con le bombarde lo Sforza fece salire parte dei soldati sulle bastie e di avvicinarle alle mura. La mossa fu decisiva dato che molti vigevanesi furono feriti e costretti a ritirarsi dalle mura malgrado persino alcune tra le donne si fossero armate per dar loro manforte. Un'ora dopo le due squadre che non avevano ancora partecipato all'assalto attaccarono le mura e ingaggiarono una mischia con i difensori presso la torre crollata riuscendo a superare le difese a penetrare nel castello. Poco dopo uno dei capisquadra sforzeschi fu ucciso, percosso alla testa da una trave e cadde dalle mura portando con sé molti uomini; ciò ridiede animo ai vigevanesi che riuscirono ad opporre resistenza respingendo coloro che non erano ancora riusciti a salire sulle mura e costringendo lo Sforza a ordinare ai suoi di ritirarsi. Poco prima del tramonto tuttavia, essendo molti difensori ormai esausti o feriti, decisero di intavolare una trattativa per la resa del castello con Giacomo da Salerno. Si stabilì che i vigevanesi avrebbero dovuto consegnare dodici dei capi della rivolta, che furono incarcerati a Pavia, e ricostruire il castello a proprie spese, in cambio gli sforzeschi avrebbero rinunciato al saccheggio e ritirato le truppe. Nella notte alcuni contravvennero all'ordine dello Sforza cercando di scalare le mura per depredare il castello ma furono scoperti e respinti.

- CONSEGUENZE:

La cattura di Vigevano permise allo Sforza di controllare gran parte della Lomellina. Durante l'assedio gli ambrosiani approfittarono della situazione inviando Francesco Piccinino a catturare alcuni castelli del Seprio e Jacopo Piccinino e Carlo Gonzaga a saccheggiare Villanterio e i borghi vicini per cercare di costringerlo ad abbandonare il proposito di catturare Vigevano ma lo Sforza non cadde nella trappola. Alberto da Carpi dopo essere stato corrotto passò dalla parte dei Savoia senza che questo ebbe conseguenze di rilievo sulle operazioni militari, lo Sforza reputò però prudente inviare mille uomini al comando del Sanseverino a difesa di Novara. Giovanni Ventimiglia, rifiutò le offerte degli ambrosiani restando fedele agli sforzeschi. Per vendicarsi del tradimento dei Piccinino, Francesco Sforza decise di avviare una serie di operazioni militari contro i loro feudi e quelli dei loro alleati nel piacentino e nel parmense.

 

BATTAGLIA DELLA SFORZESCA

INTRODUZIONE:

Il 20 marzo 1849 l'Esercito Sardo era schierato fra Stradella e Sesto Calende pronto a muovere verso Milano, mentre gli austriaci guidati da Radetzky passavano il confine alla confluenza tra Po e Ticino, senza incontrare resistenza poiché il Generale Girolamo Ramorino, Comandante della 5ª Divisione, disobbedendo agli ordini, aveva lasciato priva di presidio la zona, spostando tutte le sue truppe, d'iniziativa, dalla sinistra alla destra del Po.

IL “FATTO D’ARME”:

Il 21 marzo del 1849, il Reggimento Piemonte Reale Cavalleria, comandato dal Colonnello Rodolfo Gabrielli di Montevecchio, si raggruppava, con la 2ª Divisione del generale Bes, alla Sforzesca sulla destra del Ticino. L'ordine era quello di fermare l'avanzata austriaca. Alle tre di quel mattino, al Comandante Gabrielli di Montevecchio veniva quindi affidata un'avanguardia composta da alcuni bersaglieri, una sezione di artiglieria e uno Squadrone del suo Reggimento. Nel complesso: due Squadroni venivano posti a difesa esterna del paese, due plotoni in avanguardia nei pressi di Borgo di San Siro, mentre altri due Squadroni perlustravano verso sud-sudovest per verificare l'eventuale avanzata nemica, che però puntualmente si verificherà impegnando il distaccamento dei due plotoni di Borgo San Siro che terranno, per quasi nove ore, testa a forze superiori prima di ripiegare sulla Sforzesca. Venuta a contatto col nemico, l'avanguardia iniziava una strenua azione di frenaggio alleggerendo di quando in quando la pressione austriaca con ripetute cariche di plotone. Dopo lunga resistenza, l'avanguardia era ormai assediata nel villaggio della Sforzesca da due schiere di austriaci. Nello scontro che ne seguiva si distinguevano il Capitano Giuseppe Milo, Comandante il 4º Squadrone e i suoi Tenenti Morteo, Broglia e Bielski, poi il Capitano Carlo Ricati alla testa del suo 6º Squadrone, che avevano definitiva ragione degli Ussari austriaci mettendoli in fuga e costringendoli a ostinata, ma breve difesa. Un'ulteriore carica veniva comandata, questa volta contro la fanteria nemica che tentava inutilmente di disporsi a una difesa più salda dietro a un fossato. Nell'impeto dell'inseguimento successivo restava, però, isolato il Tenente Filippo Galli della Loggia del 4º squadrone, ora aiutante di campo del Generale Bes, subito circondato da quattro Ussari. E sarebbe finita per il giovane e valoroso Ufficiale, se il Brigadiere Mathieu non fosse accorso, seguito dal Vice Brigadiere Ravonel, a salvarlo assalendo i quattro Ussari Austriaci che lo avevano circondato.

ESITO DELLA BATTAGLIA:

Piemonte Reale era all'epoca l'unico Reggimento "pesante" della Cavalleria sarda con uomini e cavalli di elevate statura e stazza; ma solo con ripetute cariche e soprattutto con buona dose di coraggio, sprezzo del pericolo e un invidiabile spirito di corpo, che travalicava gradi e ranghi, era riuscito ad assicurare la vittoria (temporanea) all'Armata sarda. La festa del Reggimento "Piemonte Cavalleria" non a caso ancor'oggi cade il 21 marzo, anniversario del combattimento che era valso allo Stendardo di quella Unità la sua prima Medaglia d’Argento al Valore militare. Tuttavia, la vittoria ebbe scarso se non nullo peso per il prosieguo della campagna, allorché dalla sera di quel 21 marzo e per il successivo 22, l'Armata sarda fu costretta a procedere ad un rapido ripiegamento per il sopraggiungere di nuove e preponderanti forze austriache, con almeno tre nuovi battaglioni austriaci sulla scena del combattimento, mentre da parte piemontese altre truppe tardavano a giungere.