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23/04/2024 17:09
“Quando qualcuno mi ha preso e caricato sull’ambulanza, Falcone era vivo. Cosa sia successo dopo io non posso dirlo perché non c’ero”. Questa la testimonianza di Angelo Corbo, sopravvissuto alla strage di Capaci, ospite alla sala Pertini di Mede in una affollatissima serata organizzata da Anpi e Libera. Corbo il 23 maggio 1992 era in polizia, addetto alla scorta di Giovanni Falcone. Lungo l’autostrada Palermo-Mazara viaggiava sulla terza auto del convoglio colpito dall’attentato. La prima, con a bordo gli agenti Antonio Montinari, Vito Schifani e Rocco Dicillo, morti sul colpo, venne investita dall’esplosione. La seconda e la terza auto furono risparmiate dalla detonazione ma si schiantarono contro un muro di asfalto proiettato in verticale dallo scoppio. Giovanni Falcone e la moglie Francesca Morvillo morirono due ore dopo in ospedale. L’autista Giuseppe Costanza, così come gli occupanti della terza vettura, si salvarono. Corbo non può dimenticare gli attimi successivi all’esplosione: sceso dall’auto, andò insieme ai colleghi a fare da scudo umano per proteggere Falcone da eventuali cecchini che, con tutta probabilità, erano nei paraggi per assicurarsi che la mafia avesse raggiunto il suo obiettivo, pronti, nel caso, a sparare al giudice per il colpo di grazia. Falcone era vivo, ma nessuno sparò.
Il racconto di Corbo non va alla ricerca di teorie alternative: si basa semplicemente su quello che ha potuto vedere con i suoi occhi. Gli agenti di scorta sopravvissuti erano stati portati via in ambulanza senza poter fare alcun passaggio di consegne. In linea teorica, sarebbe stato facile, per un eventuale infiltrato tra i soccorritori, effettuare manovre sul corpo di Falcone per assicurarsi che morisse. Non c’è però nessuna prova, è solo uno dei tanti punti ancora da chiarire. A Corbo, di quella giornata, tra tanti dolori, ne rimane uno più di altri: aver scherzato, qualche ora prima, con un collega che avrebbe perso la vita da lì a poco, affermando di essere convinto di aver giocato al Totocalcio una schedina con cui avrebbe fatto 13.
Quella schedina, Angelo Corbo, non ha mai avuto il coraggio di controllarla. Quella svolta del destino, che forse era riuscito a intercettare nell’aria, era di tutt’altro colore.