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02/12/2025 16:33
L’olivo può essere realmente l’alternativa alla vite in Oltrepò? Cioè in un territorio dove la produzione vitivinicola, tra crisi dei consumi globale e problemi tutti locali come la crisi finale della cooperazione, non consentono a chi produce uva di sbarcare il lunario?
Se da una parte infatti negli ultimi anni si moltiplicano le iniziative di ricerca e sviluppo di questa coltura, con alcune aziende che già da tempo producono olio di ottima qualità, dall’altra l’olivicoltura rimane, ad oggi, una realtà molto circoscritta. È possibile dunque pensare a un riconversione, ovviamente parziale, degli oltre 10mila ettari di vigneti dell’Oltrepò?
Se lo è chiesto Andrea Giorgi, commercialista ed ex presidente della cantina sociale Terre d’Oltrepò, che ha verificato la situazione partendo dall’ultimo report Ismea (l’ente nazionale che analizza il mercato agricolo alimentare) sull’olivicoltura e pubblicato alcune considerazioni su Facebook.
Ebbene, la risposta che si è dato, è no: “In collina, senza i contributi pubblici - scrive - l'olivicoltura è strutturalmente in perdita”. Prendendo ad esempio le colture toscane, regione con il territorio più simile, emerge che un ettaro di uliveto nel periodo 2014-2020 ha generato ricavi per 2215 euro, a fronte di una spessa di 2406. Per pareggiare il conto - prosegue - occorrerebbe vendere l’olio a circa 8 euro, ma per recuperare l’investimento dell’impianto e guadagnare, giustamente, anche qualcosa, occorrerebbe riuscire a venderlo al doppio.
Se siete capaci - argomenta - siete dei maghi del marketing. Se la risposta invece è ‘eh ma al super osta 10 euro’ allora avete un problema.
Se poi  l’olivicoltura è un complemento aziendale, funzionale a un’attività agrituristica o enoturistica - conclude - questa è un’altra storia”.